Nel 2020, più precisamente dal 17 dicembre 2019, ricorrono i 250 anni della nascita di Ludwig van Beethoven. Già i primi articoli celebrano il grande musicista e, in novembre, la testata Der Spiegel gli ha dedicato la copertina e un lungo articolo; scorrendolo, il nome di Andrea Luchesi non appare mai. Il più importante musicista della cappella di Bonn, il Kapellmeister che per più di 20 anni ne resse le sorti, l’italiano elencato alla testa della cappella in più di venti almanacchi di corte pare non aver avuto alcuna influenza sulla formazione musicale di Ludwig il più grande (Ludwig der Großte).

Der Spiegel: Copertina.
Illustrazione di “Ludwig il più grande”.

La testata giornalistica, che pure annovera alcuni tra i migliori giornalisti d’inchiesta di Germania e che gode pertanto di grande credibilità, partecipa alle celebrazioni di Beethoven con un silenzio inquietante su Andrea Luchesi. Del resto, se anche nelle riviste specializzate il silenzio è pressoché totale, la mancata menzione da parte di Der Spiegel sembra quasi potersi giustificare. Poiché l’articolo sembrerebbe esser stato scritto da un giornalista, non da un musicologo,  l’assenza anche solo del suo nome di Luchesi potrebbe essere derubricata come una triste e preoccupante conseguenza di un pervicace atteggiamento volto alla cancellazione del musicista italiano.

 

Purtroppo la medesima constatazione è estendibile al supplemento il Venerdì di Repubblica, uscito il 27 dicembre 2019 con il titolo Inno a Beethoven, corredato dall’intervista al maestro R. Muti (al quale non si richiedono competenze musicologiche). Nell’articolo Un Mito a Tutto Volume, di Marco Cicala, si apprende come nella natia Bonn sia stata inaugurata la scorsa settimana una mostra “monstre”.

Copertina de il Venerdì.

Le celebrazioni dell’anno beethoveniano proseguiranno con 365 eventi, prodotti grazie a uno stanziamento di 42 milioni di euro. Nonostante il grande impegno si deve tristemente contemplare la possibilità che, anche nel percorso espositivo monstre, la ricerca del nome del Kapellmeister italiano possa essere infruttuosa. Il sospetto che fatti come la sua chiamata a Bonn da parte del principe Elettore Massimiliano Federico di Königsegg-Rothenfels, la nomina alla carica di  Kapellmeister (a vita) e la scomparsa della quasi totalità della sua musica, possano non trovare approfondite spiegazioni sembra purtroppo lecito, sebbene intrinsecamente collegati alla vicenda umana e artistica di Ludwig van Beethoven. Pare potersi considerare esplicativa la ricostruzione dell’infanzia di Beethoven offerta da Cicala, coadiuvato dall’esperta Benedetta Saglietti, storica della musica. 

«Per puntellare l’immagine dell’artista-titano che trionfa sulle avversità, quella di Beethoven ci è sempre stata presentata come un’infanzia sofferta. Una madre che lo trascurava, un padre cerbero, musico fallito e beone […]. E anni di formazione che videro il piccolo Ludwig incatenato alle tastiere in condizioni pressoché schiavili [?]. Oltretutto sotto il peso di due figure schiaccianti: quella del nonno, Ludwig pure lui, il musicista che ce l’aveva fatta, il Maestro di Cappella alla Corte di Bonn; e quella di Mozart, l’inarrivabile Wunderkind. Insomma una situazione da Telefono Azzurro? “Stando alle non poche carte lasciate da Beethoven non si direbbe. Non c’è mai una riga di biasimo verso i genitori” sorride Benedetta Saglietti. Storica della musica, è tra gli studiosi che meglio hanno scandagliato la maestosa quanto infida mitologia beethoveniana, svelando con verve retroscena, doppi fondi, feticismi di un culto che in due secoli da raggiunto livelli da religione profana»

Anche nell’articolo scritto da Cicala il nome di Andrea Luchesi, Maestro di Capella personale del Principe dal 1771 al 1773,  in prova per un triennio dal 1774 al 1777, e in carica fino al 1794, anno in cui la cappella fu definitivamente sciolta a causa dell’invasione napoleonica, non è presente. Inoltre, Cicala sembra ignorare come la morte del nonno di Beethoven avvenne il 23 dicembre 1773, quando Ludwig junior aveva 3 anni e, difficilmente, egli avrebbe potuto essere schiacciato dalla figura di un musicista che non ce l’aveva fatta per nulla, poiché musicalmente non molto dotato. Anche la nomina a Maestro di Cappella non può essere certo considerata un concreto successo: quando il 16 Luglio 1761 Ludwig senior fu nominato Kapellmeister, ai 450 fiorini percepiti in precedenza come cantante (passist/ basso), se ne aggiunsero solo 150, per un totale di 600 fiorini annui. Benché sicuramente  Kapellmeister, alla venuta di Luchesi, Ludwig senior proseguì a cantare come basso proprio nelle opere dell’italiano. L’articolo di Cicala sarebbe stato un’ottima occasione di citare Andrea Luchesi anche come un verosimile mito, non schiacciante ma benevolo, per il giovane musicista tedesco. Luchesi, infatti, non nobile ancorché cittadino veneziano, indicato nell’atto di matrimonio come Prenobilis Dominus, sposatosi con la nobile Anthonietta d’Anthoine, figlia del consigliere di corte più importante del principe Massimiliano Federico di Königsegg-Rothenfels, Kapellmeister di uno dei più importanti principati di Germania, nominato Consigliere titolare e poi Consigliere segreto dai due principi che servì, straniero ma capace di innalzarsi ad un livello di libertà verosimilmente raro, se non rarissimo, in un’epoca ancora dominata da una cultura feudale (ancien regime), deve aver sicuramente rappresentato un mito per il giovane Ludwig, benché la storiografia prevalente quasi non ne registri l’esistenza. Ed è purtroppo lecito ritenere che anche la mostra “monstre” dedicata dalla natia Bonn, i convegni e le tavole rotonde, non abbiano alcuna intenzione di restituire un’immagine meno mitica di Ludwig van Beethoven attraverso la riesumazione di Andrea Luchesi, suo Kapellmeister e, come tale, sicuramente  suo maestro. 

L’assordante silenzio delle due testate giornalistiche, che presumibilmente sarà purtroppo  seguito da ogni altra pubblicazione non specialistica, non è però giustificabile per la stampa specializzata.

Nell’articolo scritto da Elisabeth Reisinger dal titolo Il principe e i prodigi: le relazioni tra l’Arciduca e Elettore Massimiliano Francesco e Mozart, Beethoven e Haydn (The Prince and the Prodigies; On the Relations of Archiduke and Elektor Maximillian Franz with Mozart, Beethoven and Haydn), pubblicato da Acta Musiclogica, Volume 91 – Numero 1 – novembre 2019, si ritrovano gli stessi inquietanti silenzi. Reisinger non  cita mai Andrea Luchesi nelle 21 pagine dedicate all’argomento. L’intervento della Reisinger, le cui ricerche sono state finanziate da due borse di studio del Austrian Science Fund (FWF), si apre  con una citazione che dimostra quanto poco si sia progredito rispetto a una visione mitica e agiografica della storia della musica sicuramente piegata a interessi nazionalistici.

«Durante la sua vita Max Franz ebbe uno stretto contatto con Mozart e Beethoven, i due più grandi geni musicali che la Germania, anzi il mondo, ha generato – During his life, Max Franz came into close contact with Mozart and Beethoven, the two greatest musical genius that Germany, indeed the world, has begotten so far» M. Braubach, Max Franz von Österreich, 1921.

 

Elenco componenti della cappella di Bonn.

Destreggiandosi abilmente nella citazione delle fonti bibliografiche, Reisinger analizza il rapporto tra Max Franz d’Asburgo e W. A. Mozart, partendo proprio dal desiderio del musicista austriaco «d’essere impiegato come Kapellmeister a Bonn». Sono davvero sorprendenti le molteplici occasioni in cui la ricercatrice avrebbe potuto anche solo nominare l’italiano, alla stregua dei pur brevemente citati Antonio Salieri, Jospeh Starzer, Domenico Fischietti, Pietro Nardini, Giuseppe Bonno, Christian Gottlob Neefe e altri professionisti e dilettanti. A titolo di esempio valga questo passo in cui Reisinger, ricorda come Mozart informasse il padre dei suoi progetti, e le sue speranze fossero riposte in primo luogo sui Lichtenstein (diventare loro Kapellmeister), in secondo luogo sull’imperatore,

«”[in] terzo [luogo su] l’arciduca Massimiliano – con cui, posso dire, significo tutto per lui – mi ha promosso in ogni possibile situazione – e potrei quasi dire che se fosse già stato Elettore di Colonia, sarei già stato il suo Kapellmeister”. Per più di un secolo queste poche righe di Mozart sono servite come evidenza di una stretta relazione tra il compositore e Massimiliano e per presentare come un fatto il piano di Mozart di essere impiegato a Bonn. Sicuramente in questa lettera, Mozart sembra prendere la cosa come garantita e che sarà nominato Kapellmeister a Bonn dopo che Massimiliano sarà stato incaricato. Tuttavia è possibile che [Mozart] abbia imbellito la sua situazione agli occhi del padre, cosa che aveva fatto in precedenza. In ogni caso questa è la sola fonte in cui tale piano è ricordato. Specialmente per quanto riguarda Massimiliano, niente che riguardi questa progetto è stato rinvenuto. Nel 1784, quando Massimiliano fu nominato Elettore e arcivescovo di Colonia, si dovette confrontare con un nuovo territorio in una situazione economica difficile. I progetti culturali semplicemente non poterono essere presi in considerazione e egli non ingaggiò Mozart per la sua corte. Se questa sia stata certamente la principale ragione del perché a Mozart non fu offerto un posto nei territori del Reno, se Mozart lo ricercò veramente, o se Massimiliano abbia considerato [Mozart] nei suoi piani per la musica di corte, le scarse fonti non consentono di stabilire né consentono di formulare altre conclusione».    

Cantata per l’elezione di Massimiliano Francesco d’Asburgo composta dal Kapellmeister Andrea Luchesi.

Che Luchesi fosse il Kapellmeister di Bonn, nominato a vita, pertanto inamovibile, Reisinger non riesce proprio a scriverlo, come non riuscirà a ricordarlo quando parlerà di Beethoven, i cui primi studi in cappella avvennero sicuramente sotto l’influenza di Andrea Luchesi, ma anche di Gaetano Mattioli, il primo violino giunto da Venezia con Luchesi, all’epoca Intendente dell’orchestra. Come ricorda infatti Reisinger, nel luglio 1784 Beethoven ricevette il primo pagamento di 150 fiorini come musicista stipendiato mentre, poco dopo l’insediamento di Massimiliano, fu impiegato e stipendiato come sostituto organista. Queste competenze musicali, nel 1785 già sbocciate, erano sicuramente maturate sotto l’influenza dei due musicisti italiani, Andrea Luchesi, e Gaetano Mattioli.

 

Se la mancanza di conoscenza specifica può spiegare l’assenza del nome di Luchesi nelle due riviste giornalistiche, la mancata menzione da parte di E. Reisinger diventa purtroppo fortemente sospetta e in ogni caso foriera di un giudizio tranciante. Infatti, qualora la ricercatrice non conosca veramente la materia e possa non aver nominato Luchesi per ignoranza, sarebbe purtroppo una ricercatrice poco meritoria, difficilmente finanziabile dal Austrian Science Fund (FWF); laddove invece Reisinger abbia volutamente espunto il  nome di Luchesi dal suo articolo, avrebbe perseguito obiettivi completamente antitetici alla vera Ricerca, avrebbe operato per celare non per spiegare, rendendo leciti i dubbi non solo sul suo operato, ma anche su quello di chi ha finanziato la ricerca, di chi l’ha valutata e, forse, anche di chi l’ha pubblicata (Acta Musicologica ha sicuramente sottoposto il contributo della Reisinger ad una peer review che non avrebbe rilevato la sospetta mancanza del nome di Andrea Luchesi).  

Gli articoli apparsi su Der Spiegel, Il venerdì, Acta Musicologica, e sicuramente, purtroppo, quelli che seguiranno, hanno il potere di richiudere quelle piccole crepe aperte in passato che dimostrano, lungi dal ricercare una migliore comprensione della vita di Beethoven, come siamo ancora oggi non meglio informati che a metà ottocento o agli inizi del novecento: nel 1858 The Atlantic Montly scriveva 

«Alcune indicazioni merita l’orchestra Elettorale, quella scuola nella quale Beethoven ebbe i fondamenti del suo prodigioso sapere sugli effetti strumentali e orchestrali […] Il Kapellmeister nel 1792 era Andrea Luchesi, nativo di Motta nel territorio Veneziano, un fertile e compiuto compositore in molti stili. Il Konzertmeister era Joseph Reicha, un virtuoso di violoncello, un fine direttore e non meno valido compositore. I violini erano 16 e tra essi Franz Ries, Neefe, Anton Reicha – in seguito celebre direttore del conservatorio di Parigi – e Andreas Romberg; quattro viole, tra cui Ludwig van Beethoven; tre violoncellisti tra cui Bernard Romberg; tre contrabbassisti. Tre erano anche gli oboe, due i flauti – uno suonato da Anton Reicha – due clarinetti, due corni – uno suonato da Simrock, famoso cornista e fondatore dell’omonima casa editrice ancora esistente in Bonn – tre fagotti, quattro trombe e i consueti timpani. Quattordici dei quarantatre musicisti erano virtuosi nei loro strumenti e mezza dozzina di essi era apprezzata come compositore. Quattro anni, nell’ipotesi più riduttiva, di servizio in un’orchestra del genere possono ben essere considerati la miglior scuola di tutte quelle che Beethoven possa aver frequentato».

Ne “Le origini italiane del Romanticismo musicale”, edito nel 1930, Fausto Torrefranca scriveva:

«Non dimentichiamo che a Bonn vi era un musicista italiano, il Lucchesi, autore di concerti che lo stesso Leopold Mozart cita; e poi, data la falsità dell’indirizzo storico fin qui seguito, è assai probabile che non si sia correttamente indagato circa i veri maestri spirituali dell’infanzia e della giovinezza del grande maestro fiammingo-tedesco [Beethoven]».

Nel 1937 era Theodor Anton Hensler a riportare l’attenzione su Luchesi con il suo A. L., der letzte Bonner Hofkapellmeister zur Zeit des jungen Beethoven, in Bonner Geschichtsblätter; le ricerche di Hensler avevano fornito il supporto scientifico al concerto eseguito il 4 maggio 1938 alla Beethovenalle, nato dalla collaborazione tra la Stadisches Orchester di Bonn e la Verein Alt-Bonn. In data 6 maggio, Theodor Lohmer, corrispondente del General Anzeiger, scriveva:

«10a manifestazione della serie “La Bonn dei principi” […] [Henseler] ricapitolò per sommi capi […] l’attività di Luchesi a Bonn e l’influsso che, attraverso l’esempio e i lavori, nell’opera, nel concerto e nella chiesa, ha avuto sullo sviluppo artistico del giovane Beethoven, che per lunghi anni fu alle sue dipendenze in orchestra. Henseler lo definisce come il più importante esponente della musica della corte del Principe di Bonn ed il programma in ciò gli dà ragione, poiché Luchesi si dimostra qui compositore molto versatile, in grado di provvedere con proprietà alla soddisfazione delle necessità della corte del principe per la musica profana e sacra usata. A ragione Henseler richiama l’attenzione sull’immensa ampiezza della strada che Beethoven ha percorso per giungere da un’arte essenzialmente graziosa ai suoi capolavori pieni di contenuto ideale».

L’ora della Verità, di Giorgio Taboga.

Nel 1983 Claudia Valder Knechtges dava alle stampe Die Kirchenmusik A. Luchesis (1741-1801): Studien zu Leben und Werk des letztes kurkölnischen Hofkapellmeisters. A questo primo lavoro, che si muoveva lungo la strada aperta da Henseler, seguivano Die weltlichen Werke A. Luchesis (1741-1801), in Bonner Geschichtsblätter, XXXVI (1984) e A. Luchesi: Verzeichnis der Instrumentalwerke, in Mitteilungen der Arbeitsgemeinschaft für rheinische Musikgeschichte, LXXVI (1989).

L’interesse su Luchesi s’era però risvegliato nel decennio successivo,  quando Giorgio Taboga pubblicò Andrea Luchesi. L’ora della verità, Grafiche Vianello, Ponzano Veneto (1994). Per la prima volta Andrea Luchesi era accostato ai grandi esponenti della Wiener Klassik in modo estremamente critico e prendevano forma alcune tesi che lo indicavano come il vero compositore di lavori di J. Haydn e W. A. Mozart, e il vero maestro di Beethoven.

Nel 1999, in occasione del Congresso Internazionale Beethoveniano svoltosi a Berlino (30 giugno al 1 luglio), organizzato da Hochschule der Künste e Freie Universität di Berlino e dal Beethovenarchiv di Bonn, il professor L. Della Croce presentò un intervento intitolato Il giovane Beethoven e il suo Kapellmeister Andrea Luchesi. Benché gli atti del convegno non siano mai stati stampati essi apparvero comunque su Rassegna musicale Italiana Anno IV, n.15, Luglio-Settembre 1999, pp. 13-16. L’impegno del professor L. Della Croce produsse un secondo articolo dall’eloquente titolo Mozart, Haydn, Beethoven, processo a tre grandi, anch’esso, purtroppo, caduto nel vuoto. 

Da questo breve excursus sembrerebbe palesarsi una triste morale; a 250° anni della nascita di Beethoven, nel 20° anno del XXI secolo, ci si dovrebbe arrendere all’evidente indisponibilità della musicologia, della ricerca, della stampa, dell’informazione in generale, ad interrogarsi sulla vera formazione di Ludwig van Beethoven e accettare che il nome di Andrea Luchesi, il maestro veneziano che sicuramente ebbe una fortissima influenza sulla sua vita musicale, forse anche umana, debba per forza cadere nuovamente nell’oblio. Le celebrazioni, i concerti, le tavole rotonde i convegni, le pubblicazioni, gli articoli sarebbero, allora, tutti piegati al desiderio di nascondere una parte della verità, ritenuta incredibilmente scomoda.  Se così sarà, sarà una perdita, non solo per la musica, ma per la libertà e nessuno potrebbe esimersi dal porsi un interrogativo: il re è nudo, chi lo vorrà veramente vedere?

 

In memoria di G. Taboga, di cui ricorre, nel 250° anno della nascita di Ludwig van Beethoven, il decennale della scomparsa.

 

10 thoughts on “Andrea Luchesi: il Kapellmeister dimenticato, il maestro cancellato. Un inquietante silenzio nella vita di Ludwig van Beethoven.”

  1. Gentile signore,
    prima di scrivere, si prenda almeno la briga di leggere il mio “Beethoven ritratti e immagini”, dove Luchesi viene citato alle pagine 1, 2 e 168 (persino con succinta biografia).
    Cordiali saluti

    1. Gentile Dott.sa Saglietti,
      la ringrazio della precisazione e ho visto come lei abbia citato anche il libro di mio padre, Giorgio Taboga, in nota 3 se non erro (pg. 1 e 2). Ho letto anche la succinta biografia di pg 168 e la informo che, benché lei sia da annoverare tra i pochi studiosi che citano Luchesi, in quelle poche righe lei è purtroppo vittima della disinformazione che aleggia attorno al musicista italiano. La storia della “compagnia itinerante” è un’assurda invenzione che non ha alcun fondamento dato che Luchesi, come conferma Pietro Gradenigo, fu chiamato direttamente e stipendiato da Massimiliano Federico e da Venezia, accompagnato solamente da G. Mattioli e un anonimo Grammatico, giunse a Bonn alla fine del 1771. Mi potrebbe allora dire, per meglio precisare il mio intervento, se lei ha avuto un ruolo in quello che il sig. Cicala ha scritto? Il mio intervento, che non ho ancora reso pubblico come vorrei fare presto e che pertanto, per adesso, modifico, verte sull’assenza del nome di Luchesi nella più parte delle pubblicazioni riguardanti i 250 anni dalla nascita di Beethoven, quindi anche dall’articolo de il Venerdì. A tal fine mi chiedevo se la mancata menzione da parte di Cicala fosse dovuta a una sua scelta personale, fosse un caso, o lei avesse avuto modo di erudire il detto dell’esistenza di Luchesi.
      Le rinnovo la mia disponibilità a meglio precisare le cosa e, non avendo altre informazioni che spero lei voglia fornirmi e sarò ben lieto di leggere, avevo dedotto, leggendo il suo nome, che lei avesse fornito un contributo alla stesura dell’articolo, una consulenza. E, spero lei converrà, la deduzione era plausibile visto che il suo nome era accostato alla parte dell’articolo che riguardava la formazione di Beethoven.
      Come vede ho provveduto ma le sarei grato se mi volesse informare meglio.

      Agostino Taboga

  2. Dear Agostino,

    Maestro Luchesi does, in fact, receive detailed attention in most of the publications by our project team, including our book series by the Beethoven-Haus and other articles coming out very soon. There is no conspiracy of silence.

    John D. Wilson

    1. Dear John,
      welcome to my website dedicated to Andrea Luchesi. It’s a very nice surprise. I didn’t expected having you or, i suppose, Dr.sa Reisinger, reading my little post and i’m glad about it. (I’ll continuos in Italian)
      Per prima cosa sono felice e anche sorpreso che tu risponda (immagino), in nome della dott.sa Reisinger e che tu ti esponga in qualità, se non ho capito male, di responsabile di un team che annovera, oltre alla tua persona, la dott.sa Reisinger e la dott.sa Riepe (posso sbagliare e nel caso sarò felice di correggere qualsiasi supposizione errata). Sono molto contento che abbiate dedicato molta attenzione a Luchesi nei nuovi articoli e libri che pubblicherete ma, permettimi di dire che, se il tenore di queste nuove pubblicazioni sarà simile a quello apparso su Acta Musicologia, non c’è da stare molto tranquilli. La stessa impressione sarà lecita se le vostre ricerche poggeranno su quell’articolo, purtroppo molto superficiale e inesatto, scritto dalla dott.sa Riepe sul fondo di Modena.
      Purtroppo anche il committente delle vostre ricerche, la Beethoven-Haus, non lascia riporre, se non in modo illusorio, speranze di un vero interesse alla riscoperta della figura umana, artistica e musicale di Luchesi. Infatti non si capisce molto bene da dove scaturisca ora questo desiderio di approfondimento, quando per anni sono stati ignorati ogni ricerca e contributo tendesse a far luce su Luchesi.
      Poiché nessuno lascia nulla, se non costretto, se stiamo agli elementi, dovremmo pensare che la cosa non sia più celabile e allora meglio incaricare giovani studiosi di scrivere sul fondo di Modena, su Luchesi, con l’autorevolezza di Beethoven-Haus…
      Ovviamente questi sono solo indizi e sospetti e aspetto vivamente di vedere i risultati del vostro lavoro sperando, sinceramente, di avere una felice sorpresa.
      Devo però risponderti che, se a distanza di 279 anni dalla nascita di Luchesi, di 219 dalla sua morte, di 250 anni dalla nascita di Beethoven ancora nulla si sa di Luchesi, del suo rapporto con Beethoven, della sua musica e siamo costretti ad attendere le pubblicazione del vostro team, la cosa ovviamente è paradossale, e il silenzio mantenuto finora inquietante. Vuoi chiamarla ignoranza? Disattenzione? O vuoi definirla «conspiracy of silence»? O vuoi pensare che studi seri possano portare a comprendere come Luchesi possa verosimilmente aver avuto un ruolo importante nelle carriere di J. Haydn, W. A. Mozart, C. von Ordonez, F. A. Mitcha, L. Hofmann, J. C. Bach e L. van Beethoven? Eppure, come puoi ben leggere nel mio breve scritto (a proposito, io non parlo mai di cospirazione del silenzio, mai mi sono interrogato sui motivi del silenzio… le ipotesi sarebbero infinite), io espongo solo fatti e questi, purtroppo, parlano chiaro. Per 250 anni, come minimo, nessuno ha voluto indagare su Luchesi e bufale indegne continuano a imperversare sulla sua vita (vedi la Compagnia Itinerante MAI esistita di cui parlammo a suo tempo e che spero vivamente di non ritrovare nelle vostre pubblicazioni). E nel 250° anniversario della nascita di Beethoven nessuno menziona il suo Kapellmeister, Andrea Luchesi, e l’influenza che la sua musica e la sua figura ebbero nella formazione di Ludwig.
      Quindi, e vengo a noi, mi chiedo quali siano i propositi del tuo intervento che, sinceramente, trovo un po’ strano, un po’ scomposto. Cosa vuoi dire?
      Che quello che ho scritto è errato?
      Che in questo periodo a Luchesi è stata dedicata la giusta attenzione?
      Che dal 1806 quando G. Moschini scriveva del «celebre Luchesi della Motta» una stuolo di ricercatori s’è messo a scandagliare archivi e biblioteche alla ricerca di chi fosse veramente il Kapellmeister di Bonn?
      Che dopo T. Henseler e C. Valder-Knechtges o dopo G. Taboga e L. della Croce si sono avuti dei seri passi avanti della ricerca su Luchesi?
      Che nell’articolo della Reisinger il fatto che il nome del Kapellmeister Luchesi non appaia mai non è importante, è una svista, è giustificabile? (A proposito, cosa vorrebbe dire quanto segnalato da Reisinger sulla parte di viola nei quartetti WoO 36, che avresti fatto notare come sia particolarmente curata? Sarebbe un indizio di una paternità Beethoveniana? Come sai sono quartetti spuri… che sarebbero stati scritti, se non erro, a 13 anni – 1784 – la cui attribuzione a Beethoven fu rifiutata da F. Ries e A. Holschneider (1970), e che aspettano ancora di trovare un plausibile compositore…)
      O non vorrai dirmi che non devo scrivere piccoli post come questo perché tra poco escono i vostri libri e articoli, commissionati dalla BEETHOVEN-HAUS e quindi tutto va bene? Mi sembrerebbe sinceramente un po’ strano, un po’ intimidatorio, e sono convinto non fosse questa la tua intenzione…
      Comunque io continuerò a fare le mie ricerche, non finanziato da nessuno, e pertanto libero di dire tutto quello che penso in post come questo e in altri che seguiranno e sarà un vero piacere se troveremo il modo di confrontare i nostri studi che, purtroppo, lo sappiamo, portano in direzioni completamente diverse. Infatti, se non sbaglio, tu e il tuo team state considerando il fondo di Modena come la Biblioteca Musicale di Max Franz (anche in questo caso nell’articolo di Reisinger, come nell’articolo di Riepe, si favoleggia della raccolta di Max Franz di cui non v’è uno straccio di catalogo prima della venuta a Bonn), ma, per quanto attiene la musica sinfonica e strumentale (di cui, mi dicesti, non vi siete occupati), v’è pochissimo di riferibile al periodo 1785-94, se non alcune delle 6 sinfonie di Paul Wineberger, copiate attorno al 1791-92 dai copisti della cappella di Harburg (F. X. Link), e altri lavori a stampa (Hoffmeister, La primavera). E, credo, simile constatazione sia estensibile anche alla musica sacra dove sicuramente una parte del fondo di Modena potrebbe essere identificato con l’eredità di Max Friedrich e un’altra, vedi i vespri di Luchesi o le copie locali delle sue messe, ma anche le ultime messe di Haydn, essere collegata al fondo personale del Kapellmeister italiano.
      Quindi, caro John, procediamo su strade opposte, tu finanziato dalla Beethoven-Haus e dal fondo della cultura Austriaca, io finanziato da me stesso. I vostri libri saranno in tutte le biblioteche del mondo, i miei studi forse in qualche biblioteca e in questo sito… Ma la Ricerca va avanti e questo è la cosa più importante, per tutti.
      Grazie,

      Agostino Taboga

      1. Let me start with what we do agree with: I totally agree that Luchesi is an underrated figure in pretty much all of the Beethoven literature. In some of the older German literature, especially Schiedermair, nationalistic bias definitely seemed to play a role in this. It did not help that Schiedermair hated Henseler, the great Luchesi scholar, and did his best to undercut Henseler’s work at every turn. Much of modern Beethoven literature relies too heavily on Schiedermair’s work, which is unfortunate, but hopefully this will change in the near future. The more difficult problem is one of sources. We can surmise that Luchesi had frequent contact on Beethoven, since he was his direct boss in the chapel, but there is surprisingly little in the way of contemporary sources that would tell us more about the nature of their relationship. Since biographers and any other scholars are limited to the sources available to them, there’s not much one can say about it, whereas there is much more evidence linking Beethoven and Neefe (even if some, myself included, think that Neefe’s influence on Beethoven is often exaggerated). One can get angry about this fact, or one can search for new sources, but it is unhelpful to point fingers.

        If you’re curious to know, our book “The Operatic Library” includes some discussion of Luchesi’s early work in Bonn as an opera director, as well as a detailed codicological analysis of selected scores and parts from his opera performances, although our focus was mostly on the later years when Steiger/Reicha were in charge of the opera performances. Appropriately, our forthcoming books on sacred music put Luchesi and his many activities as Kapellmeister in center stage. Since the sacred music sources are so well preserved and so numerous, the books will be much longer and take some time to come out, but you can see our mostly complete database of the sources (including Luchesi’s compositions) here:

        https://www.univie.ac.at/muwidb/sacredmusiclibrary/

        In addition to this, audiences and ensembles in Bonn are now quite interested in Luchesi’s music, and in September 2018 the Cologne-based ensemble l’arte del mondo gave a fantastic performance of his requiem and a movement from the F-major mass at the Beethoven-Fest in Bonn.
        My reason for replying was not to intimidate in any way, but to kindly ask you to get your facts straight before insinuating that our government-funded project (FYI: The Beethoven-Haus does not and has never contributed funding to our research.) has completely ignored Luchesi and is somehow misusing taxpayer money because one brief article on a tangentially related topic you happened to read was not to your satisfaction.

        1. Dear John,
          Thank you very much for your kindly answer and I apologize if I’m just reply with this short text. Obliviously there’s some parts of your answer I don’t agree but I will write you soon when I’ll find a solution to some computer’s problem which oblige me to use just my mobile.
          So, see you soon,
          Agostino

        2. Dear John,
          here I am to answer to your interesting text. I’m very happy to read your idea about Luchesi and I assure you i’m not angry about the fact that many informations concerning his life and his music are actually lost or not found yet. I’m not angry at all, I’m just many times sadly surprised to see how difficult is to break some ideas that were common in the past (Schiedermair).
          Come tu hai giustamente ricordato la lettura tesa a cancellare Luchesi ha condizionato (anche inconsapevolmente, ovviamente) la ricostruzione storica della vita e della formazione, non solo di Beethoven, ma anche di Luchesi stesso (probabilmente anche della storia della musica del secondo settecento). Credo tu possa immaginare quanto sia difficile soprattutto in Italia parlare di Luchesi, far anche solo accettare agli addetti ai lavori e agli appassionati quello che tu consideri, come ricercatore, normale (Luchesi come Boss di Beethoven ha avuto sicuramente un’influenza sulla sua formazione). Credo tu possa immaginare anche quanto l’articolo di Riepe sul fondo di Modena (veramente poco significativo a mio giudizio) sia considerato da molti studiosi l’ultima parola, non l’inizio di una ricerca, anche se vi sono affermazioni abbastanza destituite di fondamento (purtroppo riprese da Riesinger anche nel suo articolo dove parla della collezione di Max Franz di cui un terzo sarebbe a Modena – ma questo, ritengo, è ancora tutto da dimostrare e te l’ho già scritto). Con il mio piccolo impegno e con le ricerche che porto avanti cerco di mantenere viva l’attenzione su Luchesi perché, se quella si spegne, ritengo sarà veramente una grossa perdita per tutti. E, in tal senso, mi dispiace profondamente notare come l’articolo su un tema come quello della Reisinger, che secondo te non mi soddisfa per capriccio, va, ancora una volta, nella direzione di Schiedermair (infatti citato da Reisinger nella parte riguardante Mozart), non in quella che, mi pare, anche tu consideri giusta. E purtroppo quell’articolo crea opinione, condiziona una visione, per quanto poco, per l’autorevolezza e per la diffusione della rivista, per l’autorevolezza dei finanziatori (citati immagino per questo motivo). E leggere che Max Franz non poteva assumere eventualmente Mozart perché (ipoteticamente) fu preso dai problemi economici del nuovo territorio, senza menzionare che Luchesi era nominato Kapellmeister a vita e pertanto, a meno che non fosse inadempiente contrattualmente, non licenziabile dal principe, mi è sembrato francamente sconcertante. Soprattutto per il fatto che, al contrario di Luchesi, Reisinger cita qualsiasi musicista sia legato all’argomento anche marginalmente. E il «topic», mi dispiace ma dissento totalmente dal tuo punto di vista, non è per nulla «tangentially related» a Luchesi…
          Quanto all’idea di sperperare i fondi della FYI non posso esprimere un giudizio sulla vostra ricerca, che non ho motivo di ritenere non sia animata dai più autentici desideri di verità. Potrai capire come però possa esprimere un giudizio (personale) su quegli articoli riguardanti Max Franz a Bonn o la cappella del principato dove mi aspetto di trovare il nome del Kepellmeister e se non lo trovo mi permetto di criticare fortemente questa scelta… e probabilmente si, in quell’articolo, a mio parere, i soldi non sono stati spesi in modo oculato…
          e ora, se permetti, ti chiedo… dopo che hai parlato del desiderio di Schiedermair di celare Henselr e Luchesi, ma perché Reisinger non cita una sola volta Luchesi? anche solo il nome… Reisinger vorrebbe impostare uno studio sulle relazioni tra Max Franz e i “Prodigi” e parte da Braubach, da Schiedermair, dall’articolo di Riepe, quindi, ancora una volta dalla cancellazione di Luchesi?).
          E siano poi così sicuri che Haydn sia un prodigio (non parlo di Mozart)? Io mi sto occupando degli autografi di Haydn, quei pochi sopravvissuti, di sinfonie e quartetti. Come già Robbins Landon aveva scoperto, sono pieni di errori (misure mancanti, battute scritte sbagliate, dinamiche mancanti o abbozzate, strumenti mancanti) tanto che Robbins Landon stesso afferma come non siano rappresentativi della volontà di Haydn. Robbins Landon sostiene che durante le prove Haydn, armato di penna d’oca e inchiostro, andasse di leggio in leggio a correggere le parti sperate, a segnare le dinamiche… ma si può credere a tutto questo? E comunque, tutte queste ridicole parti separate con le annotazioni di Haydn (Urschrift) delle sinfonie sono scomparse. E in almeno un caso (Hob. I:35), l’autografo è post datato rispetto alle copie e comunque contiene una versione di Hob. I:35 (la versione di Haydn), non seguita da nessuno, né nei manoscritti (5 datati, in base agli studi codicologici sulle carte filigranate e le grafie dei copisti tra il 1765 e il 1770) né nell’edizione Huberty. Eppure Haydn stesso inserì questa sinfonia nel suo catalogo personale e scrisse un autografo datato dicembre 1767, che è successivo almeno di due anni al primo manoscritto. Nel caso di Hob. I:59 Haydn riprende il finale da una sinfonia spuria di autore ignoto (Hob. I:B2) e non è da scartare l’idea che l’intera sinfonia potrebbe essere dello stesso autore (vedi D. Blazin e come M. Haydn usa i primi due movimenti per scrivere un altro autografo verosimilmente falso – MH. 82).
          Le copie delle sinfonie Londinesi oggi a Harburg (manca quella di Hob. I95) sono scritte in carte che Mozart usa negli anni 1785-87, rendendo gli autografi scritti in carta inglese sicuramente dei falsi autografi e anticipando la composizione delle stesse a prima del 90′ (ma potrei scrivertene mille di questi dettagli). E Reisinger parla di Haydn prodigio?
          Purtroppo ci muoviamo verso direzioni credo inconciliabili ma, reputandoti un vero studioso, se vorrai sarà un piacere confrontarci, ognuno convinto della bontà delle proprie tesi, ovviamente. magari non servirà a nulla ma chissà…
          Grazie comunque delle spiegazioni (anche del fatto che le vostre ricerche non sono finanziate dalla Beethoven-Haus che pertanto mantiene, mi pare di capire, su Luchesi il medesimo atteggiamento di chiusura del passato) e del link al database che consulterò sicuramente; grazie sinceramente anche delle informazioni relative alle esecuzioni della musica di Luchesi che mi fanno molto piacere.
          A.T.

        3. Dear John,
          i was taking a look to your database. Ive already some informations concerning your work as for example the Vespera (Mss D. 234), composed by Luchesi. As you have well pointed out the orchestral parts are written on paper GB, Giacomo Bertolazza, a venetian paper mill which used that kind of watermark just during 1767-69 production

          [short parenthesis
          I suggests to see the very interesting project of Prof. Eybl and even i suggest you to add this sort of information to your codicological study, which provide in my opinion many important information.

          http://memoryofpaper.oeaw.ac.at/ctmv/ctmv.php?wz=P50B_s

          The paper was found only on the la Locandiera scores (Salieri), performed in 1773 in Wien.
          As you can see by the score’s description it was found just in 29 bifolia (then less then 15 sheets) at the end of Act I, which is surely speaking for a paper which stock during the 1772/73 was almost ended.

          http://memoryofpaper.oeaw.ac.at/ctmv/Salieri_10073.pdf

          Notice that the use of paper by the theater’s copyists was one of the largest possible because of the daily needs that oblige to always have a big stock of paper (we have many evidence of little quantity of paper used over the 5/6 years, a normal period of use)].

          As you can immediately understand the all source can be dated 1767-71, maybe 1772… which is completely different from the one you suggest on your study (1774-1780). The paper suggests how this composition could be really the one made by Luchesi for the Incurabili during 1768. The problem is how this set of parts can be defined part of the Max Franz’s Collection. In fact, the paper suggests how it was copied before Luchesi moved to Bonn and it should be possibly regarded as Luchesi’s copy of his own Vespera. It could have been sold to Max Friedrich or gave to him as a present by Luchesi or it can be acquired by Max Franz after 1785. But, have you found any paper or contract were Max Franz acquired some music from Luchesi? Could this set of parts remained in the Luchesi own collection? Could it be possible that Max Franz obliged Luchesi to leave his own collection (Luchesi was a free composer before he became a Kapellmeister which surely was collecting at least his own composition…) in the Bonn Hofkapelle’s one? Could it be possible that the handwriting of the copyist is the one of the “Grammatico”, which arrived in Bonn with Luchesi and Mattioli? That handwriting, if I’m not wrong (I’ve not my little book with me at the moment) it’s also found in an aria added on Paper Gaudenzio Fossati (GF) to one of the operas, performed during the first or second years in Bonn. So the handwriting suggests that the copyist was a venetian’s one working in the Incurabili which than worked in Bonn… Very interesting don’t you thinK? Personally i think that before writing about Max Franz collection one should study the manuscripts, date them, and than find the answer to some question:
          Who could be the owner of this sort of music copied certainly during the ’60? Could it be Luchesi? Could it be Max Friedrich? Or could it be Max Franz?
          As you can see there’s so many questions in my opinion which should be considered before, i’m very sorry, writing about the collection of Max Franz von Habsburg.
          Your sincerely
          A.T.

  3. Finalmente la sorta di “conventio ad excludendum” che ha colpito e ancora colpisce Andrea Luchesi, Kapellmeister a Bonn per un lungo e operoso periodo di tanti lustri, sembra avere i giorni contati, grazie al 250° anniversario del più grande e famoso suo discepolo, Ludwig van Beethoven. E questo è senza dubbio merito di Agostino Taboga sulla scorta anche delle ricerche e pubblicazioni del padre Giorgio, di cui ricorre quest’anno il decennale della scomparsa. L’augurio perciò che possiamo rivolgere ai rapiti seguaci e cantori della odierna musicologia nel profondersi con ammirata contemplazione in lodi entusiastiche verso gli esponenti maggiori della Wiener Klassik, è che, dismesse le vesti delle celebrazioni, contribuiscano ad investigare “sine ira et studio” sulla vita materiale dei grandi compositori e del ruolo nient’affatto secondario esercitato ed espresso , ad majorem gloriam Vindobonensis musices, da Andrea Luchesi.

    1. Caro Mario, intanto grazie e se leggi la risposta del dott. Wilson pare che qualcosa di concreto si stia muovendo anche oltralpe. Mi fa piacere che si esegua Luchesi e mi piace immaginare la felicità di mio papà se fosse ancora tra noi al ricevere simili notizie. Vediamo come le cose andranno avanti.

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