Luchesi e la scomparsa della musica strumentale italiana.

Comprendere il significato del “problema” Luchesi, interessarsi alla sua storia e alla sua musica, sicuramente intrecciate con quelle di J. Haydn, W. A. Mozart e L. van Beethoven, significa, oggi, andare contro un’idea storiografica consolidata e difficile da modificare. Data come assodata l’assenza di malafede in chi si dedica con passione e sforzo alla ricerca, la forza della ricostruzione storico-musicale sedimentatasi nel tempo è tale da impedire di pensare il secondo settecento in modo diverso da quanto oggi normalmente accettato, ovvero, all’egemonia della Wiener Klassik su tutte le altre scuole o tradizioni musicali del secolo. Al contrario, pensare a Luchesi e interrogarsi sulle ragioni della sua scomparsa umana e musicale e, in generale, alla scomparsa della musica strumentale italiana, porta a delle domande per le quali la storiografia sembra fornire spiegazioni poco convincenti. 

G. Angiolini, La partenza d’Enea, o sia Didone abbandonata, Ballo, stampato da L. Marescalchi e C. Canobbio a Venezia nel 1773, con indicazione del catalogo di musica disponibile presso il loro negozio di musica.

Accettare l’egemonia della Wiener Klassik e liquidare la scomparsa di Luchesi e della scuola strumentale italiana rende totalmente inspiegabili i flussi migratori del secondo settecento connessi al mercato musicale. Coloro che pensano alla tradizione italiana del periodo come attardata su modelli sorpassati, rispetto alle tendenze progressiste dei paesi germanici, sembrano non interessati a spiegare perché i musicisti della penisola fossero chiamati presso le più importanti corti d’Europa, fossero pagati profumatamente e contribuissero a formare un gusto musicale fortemente improntato a quello italiano, mentre i progressisti musicisti di area tedesca fossero per lo più dediti alla ricerca di assunzione nelle orchestre di corte, spesso dirette dagli stessi maestri italiani, si perfezionassero presso i grandi didatti italici o, come J. Myslivecek (detto il Venatorino), e J. C. Bach, ricercassero il successo proprio in Italia, per poi sfruttarne l’importanza emigrando nei paesi d’oltralpe. G. Barblan e A. Della Corte (Mozart in Italia. I viaggi e lelettere, Casa Ricordi, Milano, 1956) a proposito del viaggio in Italia dei Mozart ricordano come

«in lui [Leopold] urge innanzitutto lo scopo di colmare e perfezionare l’istruzione del figlio [Wolfagang] e ciò, a quel tempo, non poteva esser compiuto che in Italia. Tale viaggio infatti “ebbe origine da un generale modo di vedere di allora, che aveva le sue radici in una tradizione bisecolare … nel 18° secolo il musicsta tedesco doveva completare i suoi studi in Italia, se voleva conquistare anche in patria gloria e considerazione… »

La grandezza della tradizione musicale italiana era pertanto vivissima durante gli anni sessanta e tra gli allievi di padre Martini a Bologna si possono annoverare musicisti tedeschi, francesi, russi, austriaci, come J. C. Bach, J. G. Naumann, J. Schuster, L. Pitscher, J. Ritschel, A. Tayber, G. J. Vogler, M. Barezovskji, J. Darbes, E. J. Floquert, A.-E.-M. Gretry. La storiografia includerebbe, anche, proprio W. A. Mozart, sebbene recenti studi abbiano reso questa posizione, da tempo peraltro conosciuta, difficilmente sostenibile (L. Bianchini – A. Trombetta, Mozart. La caduta degli Dei. Parte Prima,Youcanprint 2016, p.  308). I flussi migratori sembrano quindi raccontare come i compositori e strumentisti italiani si spostassero verso Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Austria, Russia, Danimarca, Inghilterra o l’Irlanda, laddove i musicisti stranieri cercavano fama e notorietà presso i teatri e le scuole musicali della penisola.

La supposta egemonia della Wiener Klassik non fornisce poi alcuna spiegazione alla scomparsa di Luchesi e della musica strumentale italiana. Posto che i maestri italiani erano famosi e ricercati in Europa pare non si dedicassero alla musica sinfonica o strumentale, quella con più mercato, ma  essenzialmente alla musica sacra e al teatro. Alcuni esempi sembrano opportuni.

Il catalogo tematico di G. Paisiello (1740-1816 – M.F. Robinson e U. Hofmann, Giovanni Paisiello, a Thematic catalogue of his works, Thematic Catalogues, vol. 15, Stuyvesant, N.Y., Pendragon Press, 1994), elenca 96 Opere e 6 dubbie, 20 Cantate, 12 Oratori, 48 Composizioni sacre per la cappella di Napoleone, 11 Messe, 11 Pezzi sacri per l’ordinario della Messa, 38 Salmi, Inni e Vantici, 5 Mottetti e, tra la musica strumentale:

  • 7 quartetti in do magg. (2), mib (2), la magg., re magg., composti a Milano nel 1774 ca.;
  • 2 quartetti in sol magg. e la magg.;
  • 2 concerto per clavicembalo e orchestra N° 1 e 2 in do magg. e fa magg., composti a S. Pietroburgo nel 1782-83;
  • 4 divertimenti per strumenti a fiato, composti a S. Pietroburgo nel 1782-83;
  • 12 divertimenti per strumenti a fiato;
  • una collezione di Capriccie Rondò per fortepiano, composti a S. Pietroburgo nel 1782-83;
  • 6 concerti per clavicembalo e orchestra N° 3-8 in la magg. (3), sol min., sib, do magg., composti a Napoli ante 1788 ma presenti in forma mss. solo presso la biblioteca GB-ob, collezione Tenbury Wells, 488A;
  • 1 sonata per violino in re magg.;
  • Musica per la commemorazione del generale Hoche;
  • Andante per oboe e arpa, composto a Parigi nel 1802-04;
  • 3 pezzi per banda militare, composti a Parigi nel 1802-04;
  • 1 sinfonia in do magg..

Vi sono poi delle opere di dubbia attribuzione:

  • 1 sinfonia in mib.
  • 6 quartetti per flauto in re magg., sol magg. (3), do magg. e mi magg.;
  • 1 marcia per il primo console in sib;
  • 3 concerti per mandolino in mib, do magg. e sibmagg.

Dal catalogo tematico sembra che G. Paisiello abbia composto solo 2 sinfonie, di cui 1 spuria o incerta, non legata alla musica teatrale. Quanto ai quartetti per archi, dopo averne composti 7 nel 1774, a Milano, nel corso dei suoi 76 anni, ne compose solo altri 2 in data imprecisata. 6 concerti per clavicembalo e orchestra esistono in copia manoscritta solo presso la biblioteca di Oxford (fondo Tembury Wells); se si fossero persi detti esemplari, non avremmo contezza di queste composizioni. Altri 2 concerti per clavicembalo furono scritti verso la fine del periodo a San Pietroburgo; dal 1788 al 1816 Paisiello non scrisse più per strumento a tastiera e orchestra.  

Il catalogo tematico di B. Galuppi (1705-1784 – Franco Rossi, Catalogo tematico delle composizioni di Baldassare Galuppi (1706 – 1785) – Parte I: Le opere strumentali, Edizioni de I solisti Veneti, Padova, 2006), elenca 63 Opere, 11 Cantate, 28 Oratori, 35 Mottetti, 10 Salmi, Inni e Composizioni sacre e, tra la musica strumentale:

  • 6 sonate per clavicembalo op.1 (Londra, 1756);
  • 6 sonate per clavicembalo op.2 (Londra, 1759);
  • Ouvertura per clavicembalo (Londra);
  • 3 sonate per tastiera;
  • 11 movimenti per cembalo;
  • 138 sonate per clavicembalo;
  • 6 trii per 2 violini e basso;
  • 7 concerti per archi;
  • 3 concerti per flauto e archi;
  • 3 concerti per 2 flauti e archi;
  • 1 concerto per flauto, clavicembalo e archi
  • 1 concerti per fagotto e archi;
  • 9 concerti per clavicembalo e archi di cui quello in re magg. attribuito a J. Haydn (Hob. XVIII:2) dal catalogo Breitkopf & Harteldel 1767 e copiato a nome del musicista austriaco nelle collezioni di Göttwieg, Seitenstetten, Vienna e Berlino.

Anche Galuppi sembrerebbe non essersi interessato particolarmente alla musica strumentale e, al di fuori delle sinfonie e ouverture teatrali, pare non abbia composto alcuna sinfonia. Inoltre, il musicista veneziano, nel corso dei suoi quasi ottant’anni vissuti, ad esclusione dei tre anni passati a San Pietroburgo, scrisse solo sei trii ma nessun quartetto o quintetto, dedicandosi quasi esclusivamente alle sonate per clavicembalo. Di questa poca musica strumentale restano tracce minime negli archivi veneziani ed è incredibile che nel fondo Giustiniani, custodito nella Biblioteca del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, esistano, a parte alcuni lavori di origine teatrale, solo i manoscritti di

  • 2 sonate per cembalo Hill 94 e 29 (Giust. B. 16, n.1).

Domenico Cimarosa (1749-1801), di cui nessuno pare abbia al momento compilato un catalogo dell’opera musicale, sembra aver composto 99 Opere, 7 Oratori, 21 Messe, 27 Inni, Mottetti, Salmi e composizoni sacre e

  • 88 sonate per clavicembalo, fortepiano o pianoforte;
  • 2 sinfonie in si e re magg. per due oboi, due corni e archi, la seconda attribuita anche a J. Myslivecek;
  • 1 sinfonia concertante per 2 flauti e orchestra in sol maggiore (1793);
  • 1 concerto per oboe e orchestra i do min.;
  • 1 concerto per clavicembalo o fortepiano e orchestra d’archi in si b magg.;
  • 2 sestetti per fortepiano, fagotto e archi, di cui uno con arpa;
  • 6 quartetti (re magg., sol magg., do magg., fa magg., do magg., la min.) per  flauto. violino e violoncello;
  • altre composizioni minori.

Ariella Lanfranchi, estensore della scheda dell’enciclopedia Treccani, riporta come Cimarosa, nelle parole di Tibaldi Chiesa, fosse diventato il «prototipo del musicista italiano errante [?], che la Vernon Lee contrapponeva al sedentario compositore tedesco … [e che il Pougin definiva] una specie di modello del moto perpetuo…, sempre per strade e per cammini, oggi qui, domani là…». Nonostante ciò pare abbia composto, ad esclusione delle ouverture teatrali, solo 3 sinfonie nell’arco della sua vita, 1 solo concerto per strumento a tastiera,  6 quartetti e 2 sestetti, concentrandosi, come Galuppi, solo sulle composizioni per strumenti a tastiera.

Giuseppe Gazzaniga (1747-1818), di cui nessuno pare abbia al momento compilato un catalogo dell’opera musicale, sembra aver composto quasi cinquanta Opere, 12 Composizioni sacre e

  • 3 concerti per strumento a tastiera;
  • 1 sinfonia per due corni, due oboi e archi. 

Rism segnala l’esistenza di altre 3 sinfonie, presenti nelle collezioni di Wolfenbüttel (D-W, Cod. Guelf. 71 Mus. Hdchr – RISM ID no.: 451506136), Eichstätt e Stars (D-Eu, Esl VIII 266 – RISM ID no.: 450201647 e A-ST, Mus.ms. 362 – RISM ID no.: 650004795), e Bratislava (SK-J H-760 – RISM ID no.: 570005130).

Ferdinando Bertoni (1725-1813), di cui nessuno pare abbia al momento compilato un catalogo dell’opera musicale, sembra aver composto 48 Opere, moltissima musica sacra, presente presso l’archivio della cappella Marciana di Venezia in forma manoscritta, e 3 Opere di musica strumentale. RISM segnala anche l’esistenza di 5 sinfonie, verosimilmente composte tra la metà degli anni ’50 e i primi anni ’60, presenti presso la collezione del castello di Regensburg; dette composizioni sono tutte in conflitto di attribuzione con F. X. Pokorny, che pare abbia prodotto dei falsi autografi e se le sia intestate (RISM ID no.:  450010599, 450010600, 450010601, 450010602, 450010603)

Il catalogo tematico di Andrea Luchesi (1741-1801) elenca 18 Messe, 6 Mottetti, 22 Antifone, 4 Responsori, 11 Salmi, 23 Inni, 10 Oratorie e Cantate, 9 Opere e, tra la musica strumentale:

La realtà descritta evidenzia dei comportamenti totalmente incomprensibili poiché musica sacra e musica teatrale erano pagate una tantum dai committenti, che ne divenivano proprietari. Opere serie e burlette erano composte su commissione dei teatri, che detenevano i diritti di riproduzione attraverso i loro copisti. Le copie di partiture, arie, duetti, sinfonie erano vendute solitamente dal teatro e il compositore non percepiva alcun emolumento, neanche dalle riduzioni per cembalo o quartetto, spesso affidate ai musicisti della cerchia teatrale committente. La musica sacra, socialmente prestigiosa, era invece di difficile vendita, sia per la cultura dell’epoca (fare mercimonio dei lavori composti in lode al Signore doveva essere considerato negativamente), sia per gli organici necessari. Era poi solitamente composta dai maestri di cappella e pertanto pagata attraverso il compenso pattuito con la nomina. È lecito immaginare come tutti i maggiori musicisti di grido dovessero ricevere commissioni di musica strumentale, quella più facilmente vendibile e remunerativa, da editori, nobili, commercianti di musica. La fama degli autori acclamati in teatro doveva essere un potentissimo mezzo di comunicazione che, ovviamente, aumentava la possibilità di vendita. Pare lecito pensare che editori, nobili e commercianti preferissero avere delle nuove composizioni di G. Paisiello, B. Galuppi, F. Di Majo, P. Anfossi, P. A. GuglielmiG. Astaritta, G. Sarti, N. Piccinni, D. Cimarosa piuttosto che di M. Haydn, J. K. Wanhal o C. von Ordonez. Eppure pare che G. Paisiello, come F. di Majo, G. Astaritta, P. Anfossi,  non abbia quasi composto musica da camera o sinfonica, benché fosse la più commerciata (organici ridotti) e richiesta (spesa ridotta), anche dalla nascente borghesia. La storia della musica, come oggi è raccontata, pare spieghi in modo poco convincente perché, tralasciando la musica di origine teatrale, il grandissimo G. Paisiello abbia composto solo 2 sinfonie, P. Anfossi 1, B. Galuppi nessuna, A. Luchesi 8, D. Cimarosa 2 (una attribuita anche a J. Myslivecek) mentre J. K. Wanhal 77 (considerate autentiche su 140), J. Haydn 108 (alla morte se ne contavano più di 250) e C. von Ordonez circa 70, Frantisek Adam Miça 27, J. Myslivecek 55 (tra cui alcune ouverture nei 44 anni di vita).  Inoltre non indaga sufficientemente, il mercato delle commissioni esclusive, quelle che legavano, a titolo d’esempio, G. B. Sammartini al principe Nicola il Magnifico Esterházy, J. Haydn ai conti-duchi Benavente Otsuna o A. Luchesi ai committenti tedeschi, citati nella lettera al conte G. Riccati del 18 aprile 1770, rimasti al momento sconosciuti. Già Giovanni Battista Ferrandini, come ricorda P. Cattelan (Mozart. Un mese a Venezia, Marsilio editore, Venezia 200, pp. 154.55), «aveva assunto in toto il principio di mascherarsi al pubblico [e] non risulta nulla che si sia esplicitamente attribuito». Nella seconda metà del Settecento alcuni compositori, probabilmente molti,  scelgono spontaneamente di eclissarsi al pubblico, per vendere le loro composizioni, verosimilmente a prezzi superiori, a principi e potenti. Parallelamente si registra lo strano fenomeno, non sufficientemente indagato, delle plurime paternità della musica strumentale che riguarda, quasi esclusivamente, musicisti austriaci. La scomparsa di Giovanni Battista Ferrandini, Andrea Luchesi e dei musicisti italiani sembra plausibilmente connessa a detti costumi, caratteristici  di un’epoca difficilmente comprensibile ai nostri occhi, non ancora sufficientemente indagati.

Il Catalogo Breitkopf e i moderni cataloghi tematici dei musicisti della Wiener Klassik.

Già nel 1762 il Catalogo delle sinfonie che si trovano in manoscritto nella officina di musica di Giovanni Gottlob Immanule Breitkopf, in Lipsia, parte Ima avvisava musicisti e fruitori di musica che il medesimo era in qualche modo condizionato dalla difficoltà di individuare i veri autori di molte composizioni, tanto che alla redditività di simile operazione, che avrebbe suggerito una maggiore tiratura, s’era preferito la correttezza di poche copie. Breitkopf invitava pertanto gli autori, o chiunque disponesse d’informazioni atte a ridurre possibili errori di attribuzione, a fargliele pervenire e, nel contempo, esortava i compositori a redigere cataloghi personali che mettessero ordine a simile situazione.

 «Con la presente annuncio l’inizio del catalogo musicale promesso di tutte le opere pratiche di vari compositori che si possono avere nel mio ufficio; queste [composizioni] le ho rese riconoscibili dai loro temi, nella misura in cui lo spazio lo consente, e ho tentato di differenziarli, l’una dall’altra, proprio come si differenziano i libri gli uni dagli altri tramite i loro titoli. I critici vedranno da soli che è abbastanza difficile ottenere uno stock piuttosto considerevole di tali pezzi, o, per così dire, superare la riluttanza di alcuni musicisti [a fornire le loro composizioni]; e cosa ancora più problematica – in effetti un compito difficile – mettere detti [lavori] in una sorta di ordine. Quali conflitti dovrebbero essere risolti, quali lotte segrete hanno vinto, se si dovesse tentare di dare a ogni autore il suo dovuto e se si dovesse trovare l’autore giusto per i pezzi che appaiono sotto vari nomi! E se in questi casi dubbiosi, di cui ne esistono troppi, non si potesse risolvere nulla attraverso domande, con quanta facilità si sarebbe portati lontano dal migliore giudizio verso l’errore invece di seguire la via corretta. Devo quindi chiedere perdono a quegli esperti e dilettanti – e a certi compositori stessi i cui nomi compaiono in questo catalogo, o appariranno in futuro – per certi errori inevitabili; e nello stesso tempo supplico coloro i cui pezzi sono erroneamente elencati o [che ne conoscono] altri similmente presenti di inviarmi un avviso in tal senso in modo che in caso di un nuovo catalogo i vecchi errori possano essere corretti e quelli nuovi evitati. Ho quindi stampato solo un piccolo numero di copie di questo primo tentativo e ho volentieri sacrificato il profitto per ragioni di correttezza. Se i compositori famosi fossero così gentili da preparare in un attimo un catalogo delle loro composizioni pratiche e avere la bontà di inviarmelo, non solo glielo riconoscerò con i miei ringraziamenti, ma continuerò i miei sforzi molto più audacemente, a seconda della certezza con cui potrò fare affidamento su tali informazioni. Non ostacolerebbe le cose se non avessi le composizioni in questione elencate nel catalogo; perché dovrei adoperarmi per assicurarle, dato che sarebbero richieste da parte degli amanti della musica […]». (vedi H. C. Robbins Landon, The symphonies of Joseph Haydn, Universal Edition, London 1955, p. 1.)

Le richieste di Breitkopf non sembrano aver sortito effetto e sembrerebbe che l’appello sia caduto quasi interamente nel nulla anche se si possono citare alcune “correzioni” presenti nelle edizioni successive del catalogo quali la sinfonia III,21 attribuita a J. Haydn nell’edizione del 1767, a Sonnleithner in quella del 1774 e a Rugietz in quella del 1776. Dette correzioni sembrano incapaci di fare chiarezza e al contrario sembrano suggerire come la sinfonia non sia di nessuno dei nominati compositori. Inoltre, non pare che il fenomeno delle plurime paternità e quindi dell’errata paternità di lavori sinfonici o da camera nel catalogo di Breitkopf, abbia portato alcun musicista a rivendicare la paternità delle proprie composizioni adendo anche a vie legali, dato che non sono giunte notizie di contenziosi o citazioni. Attorno al 1765 J. Haydn sembra accogliere il suggerimento di Breitkopf e incaricò il proprio copista Joseph Elssler di preparare quel catalogo tematico personale che è oggi conosciuto come Entwurf Katalog. Purtroppo la prima parte di detto documento sembra essere stata distrutta durante la vita di Haydn. Tale deplorevole perdita viene segnalata da H. C. Robbins Landon, che ipotizza come fosse riferibile interamente alle sinfonie (vedi H. C. Robbins Landon, The symphonies of Joseph Haydn, Universal Edition, London 1955, p. 4.). Nessun altro compositore pare aver “risposto” all’appello dell’editore e commerciante di Lipsia, forse per proteggere un sistema che vedeva nel fenomeno delle dubbie e plurime paternità una situazione non troppo disdicevole e sicuramente capace di fare la fortuna anche di quegli autori che subivano l’appropriazione delle loro composizioni. Il problema denunciato da Breitkopf, conoscitore profondo della realtà dell’epoca, rimase insoluto ma la realtà evidenziata è confermata dagli studi sull’opera omnia dei compositori, soprattutto austriaci, e dai lavori spuri o dubbi oggi già identificati.

  • Carl von Ordonez, impiegato della corte e compositore e violinista dilettante, è ritenuto l’autore di una settantina di sinfonie, più alcune spurie, di cui più di una decina hanno conflitti di paternità con L. Hofmann, J. K. Vanhal, J. Haydn J. C Bach, F. X Körzel, I. Holzbauer, F. A. Schubert, D. von Dittersdorf, G. Wagensail, A. Sonnleithner e N. Piccinni (probabilmente il vero autore della sinfonia). Vi sono poi dieci sinfonie i cui unici esemplari, anticamente parte della collezione della cappella di Bonn e presenti oggi presso la biblioteca Estense Universitaria di Modena, sembrano suggerire un forte collegamento tra la cappella diretta da Andrea Luchesi e la produzione sinfonica di Carlo d’Ordonez (A. P. Brown, Carlo D’ordonez (1736-86). A Thematic catalogue, Information Coordinators, 1978). Quanto ai quartetti, 26 sono considerati autentici mentre 11 sono considerati spuri o dubbi. Tra questi, 5 sarebbero composti da I. Pleyel mentre il quartetto BroO IV:S Bb2 è in conflitto di attribuzione con J. Haydn (Hob. III:B3) e J. K. Vanhal, considerato il vero autore. 
  • J. K. Wanhal è ritenuto l’autore di 140 sinfonie intestate di cui se ne considerano autentiche solo 77; 49 sono cointestate ad altri autori quali D. von Dittersdorf, J. Haydn, F. X. Sterkel, L. Hofmann, V. Pichl, R. Hofstetter, J. G. Naumann, L. Kozeluch, J. (?) Zach, F. N. Novotny, A. Gyrowetz, A. Rossetti, J. Touchemoulin, (?) Waldek, F. Gassmann, C. Stamitz, J. Sonnleithner, F. Asplmayr, (?) Hupfed, C. Von Ordonez, (?) Kohl, F. X. Dusek, F. Körzel. Il fenomeno interessa 21 compositori diversi e tra essi vi sarebbe anche l’influentissimo barone van Swieten, responsabile fino alla morte di W. A. Mozart, della biblioteca imperiale. 
  • Frantisek Adam Miça, nipote del maestro di cappella Frantisek Vaclav Miça, fu un funzionario della corte in qualità di segretario,  luogotenente a Graz e funzionario imperial regio in diverse città. Nonostante fosse un compositore poco più che amatoriale, è considerato autore di 27 sinfonie, 20 quartetti, altre composizioni strumentali e persino teatrali. 13 sinfonie di F. A. Miça, anticamente parte della collezione della cappella di Bonn (che possedeva copia anche di 12 quartetti), presenti oggi presso la biblioteca Estense Universitaria di Modena, sembrano suggerire un forte collegamento tra la cappella diretta da Andrea Luchesi e la produzione sinfonica di questo compositore amatoriale. Una sinfonia in do magg. è attribuita anche a J. C. Bach (I-MOeu Mus. D.16 – fonte databile 1764-70) e a J. Haydn. Un’altra sinfonia in fa magg. (I-MOeu Mus. D.601 – fonte databile 1773-76), fu copiata anche per la collezione dei conti Clam Gallas del castello di Frydlant (CZ-Pnm XLII E 360 – RISM ID no.: 551007714); detta fonte fu in qualche momento e per qualche ragione attribuita a J. K. Vanhal finché la nuova e verosimilmente falsa paternità fu rigettata e la fonte fu ri-attribuita a F. A. Miça.
  • Alcune sinfonie di D. von Dittersdorf hanno conflitti di attribuzione con P. von Winter, V. Pichl, C. von Ordonez, G. A. Stephan, A. Kreusser, J. Schuster, J. Haydn, J. G. Vanhal, J. G. Naumann. Alcuni manoscritti recano poi l’incredibile paternità «Del sig. Pichl e Ditters»
  • Diverse sinfonie di V. Pichl hanno attribuzioni multiple con J. Haydn, J. C. Bach, A. Fils, D. von Dittersdorf, F. X. Pokorny, I. Fränzl, C. Stamitz; la sinfonia in mi bemolle maggiore conosciuta come Il Pigmalione (ZakP S:Eb3 – RISM ID no.: 450010327), è attribuita anche a J. Haydn (Hob. I:Eb1), J. C. Bach (RISM ID no.: 551004788), I. Fränzl (RISM ID no.: 650006503), e A. Fils (RISM ID no.: 600171559), considerato il vero autore, mentre G. B. Sammartini sarebbe il probabile compositore della sinfonia spuria in sol maggiore (ZakP S:G1).
  • La sinfonia in re magg. intestata a Leopold Mozart (LMV VII:D 15), potrebbe essere stata composta da B. Galuppi come segnalano i due cataloghi delle collezioni dei castelli di Regensburg e Harburg, (vedi RISM ID no.: 450024216 e 450009507).
  • La copia della sinfonia K. 297 Pariser di W. A. Mozart, custodita a Regensburg, è attribuita al salisburghese solo in seconda battuta, dopo che un’antica paternità, probabilmente riferibile a J. M. Kraus, fu raschiata. La sinfonia K. 338 è attribuita negli archivi del palazzo reale di Madrid a I. Pleyel.
  • L. Hofmann, nel corso dei suoi 55 anni, scrisse 65 sinfonie (G. C. Kimball, The Symphonies of Leopold Hofmann (1738–1793) Thesis (Ph.D.) Columbia University, 1985); la sua attività di compositore sembrerebbe essersi svolta con regolarità dal 1758 fino alla metà degli anni ’70 per cui, dette composizioni, sarebbero state composte verosimilmente in 17-18 anni di attività, ad un ritmo medio di 4 sinfonie all’anno (MGG – Die Musik in Geschikte und Gegenwart, Perosnenteil 11, Las-Men, Hofmann, Leopold, p. 604). La sinfonia KimH C1, presente nella collezione della Öttinghen-Wallersteinsche Bibliothek di Harburg, è in conflitto di attribuzione sia con I. Holzabuer che con J. C. Bach (RISM ID. no: 450024538); una sinfonia non identificata da Kimball, presente nella collezione della Hochschule für Musik und Theater di Lipsia, è in conflitto di attribuzione con P. van Maldere (KimH deest, RISM ID. no: 201007221); la sinfonia KimH D9, presente nella collezione della Musik – och teaterbilioteket di Stoccolma, è in conflitto di attribuzione con G. B. Sammartini (JenS D23, RISM ID. no: 190019059); tre sinfonie spurie, presenti nella collezione del Zisterzienserstift Bibliothek und Musikarchiv di Stams, sono in conflitto di attribuzione con F. A. Hoffmeister (KimH sg:1, sEb1, sE1, rispettivamente RISM ID. no: 650003207, 650003210, 650003215); un’altra sinfonia, anch’essa spuria, presente nella collezione del Knihovna Prazké konservatore di Praga, è in conflitto di attribuzione con J. G. Graun (KimH deest in F-Dur, RISM ID. no: 550280255);

Il fenomeno raggiunge il suo apice con J. Haydn di cui 148 sinfonie manoscritte sono oggi considerate spurie, poiché in conflitto di attribuzione con W. Pichl, L. Hofmann, J. G. Vanhal, D. von Dittersdorf, J. C. Bach, C. von Ordonez, I. Pleyel, A. Hoffmeister, J. Holzbauer, M. Haydn, C. F. Abel, L. Kozeluch, van Maldere, barone van Swieten, G. Pugnani, M. Gretry, A. Gyrowetz, F. K. Neubauer.

I conflitti di attribuzione riguardano non solo le sinfonie ma anche 66 quartetti spuri intestati anche a J. Haydn e, tra gli 83 considerati autentici, i 6 quartetti Op. 3 (Hob. III:13-18). Benché J. Haydn li abbia inseriti nel proprio catalogo personale, preparato sotto la sua supervisione nel 1805 da J. Elssler, e siano stati stampati a Parigi nel 1803 da I. Pleyel, sarebbero composti da R. Hoffstetter.

Neppure le Messe intestate a J. Haydn sono immuni dal fenomeno delle dubbie attribuzioni ed è sufficiente consultare il catalogo Hoboken per notare come solo 14 messe siano considerate autentiche (numero d’opus XXII) mentre 111 sono spurie, ovvero:

  • 48 in do magg.;
  • 2 in do minore;
  • 12 in re magg.;
  • 1 in re min.;
  • 18 in mib;
  • 6 in fa magg.;
  • 6 in sol magg.;
  • 2 in sol min.;
  • 3 in la magg.;
  • 13 in sib.

Alcune messe, tra cui spicca quella in sibmagg. Hob. XXII:Bb13, sono cointestate a diversi  compositori, tutti austriaci.

Tonalità e data manoscritto
Autori diversi Rism id. no:
Hob. XXII:C26 Aumann, F. J. – Haydn, J. – Haydn, M. – Vanhal, J. K. 530002405
Hob XXII: Bb13 Haydn J.– Zimmermann, A –Vanhal, J. K. 455039739
Hob.XXII:Bb13

1790

Haydn, J.– Haydn, M. – Novotny, F. N. – Heimerich, M. – Ditters, D. von – Hofer, A. – Zimmermann, A. – Alexander, P.         651000266
Hob.XXII:Bb13

1780-1800

Haydn, J.– Vanhal, J. K. – Haydn, M. –Novotny, F. N. – Heimerich, M. – Ditters, D. von –Hofer, A. – Zimmermann, A. – Alexander, P. – Elsner, J. – Keinz, J. – Klein E. – Schöringer 453013102
Masses F Major Schlecht, Franz – Vanhal, J. K. – 453011641
Hob. XXII:C5 Haydn, M. – Haydn, J. – Schneider, F.    600502859
Hob. XXII:C21

1769

Haydn, M. – Haydn, J. – Hofmann, L. 600172863
Hob.XXII:C21

1764

Haydn, M. – Haydn, J. – Carl, A. 456002241
Hob. XXII:C31

1770

Haydn, M. – Haydn, J. – Hofmann, L. 530003789
Hob. XXII:C16

1780

Haydn, M. – Haydn, J. – Kozeluh, L.       450024615
Hob. XXII:C5 Haydn, M. – Haydn, J. – Schneider, F. 455022731
Hob. deest Haydn, M. – Haydn, J. – Gruber, F. X. 659001800
Hob. XXII:Bb4

1800

Haydn, M. – Haydn, J. – Kohlbrenner, F. S. von 650014056
Novotny, F. N. – Zimmermann, A. 600500698
Masses Bb        Novotny, F. N. – Hofmann, L. 659001611
Masses C Novotny, F. N. – Hofmann, L. 550248458
Naumann, J. G – Novotny, F. N. 530001205
Novotny, F. N. – Brixi, F. X. – Aumann, F. J. 603001386
Hob XXII: Eb12

1765-68

Novotny, F. N. – Haydn J. 603001390
Hob XXII: Bb5

1780

Novotny, F. N. – Haydn J. 600066932
Hob XXII: Bb/5

Masses Bb

1750-1820

Vieracher, de – Haydn J.– Novotny, F. N. – Andreae J. G. – Haydn, M. – Huber – 600077638
Ditters – Sartini –  Vögel Kajetan –  Sarti 650014663
1769 Hafeneder Joseph – Ditters, D. von 600054850
Neubauer, F. K. – Ditters, D. von – Biazzo 454501401

Quanto alla musica sacra di Carlo d’Ordonez, benché esistano dei riferimenti documentali che ricordano l’esecuzione di suoi lavori sacri, essa risulta essere totalmente dispersa. Considerando invece le notizie archivistiche e documentali riferibili ad A. Luchesi, egli sembra aver composto 14 messe. Dette composizioni sono verosimilmente tutte riferibili al periodo anteriore alla partenza per Bonn. Nessuna messa superstite pare essere stata composta nei 30 anni trascorsi in Germania.

L’incredibile realtà descritta potrebbe essere capace di spiegare molti fatti tra cui la scomparsa della musica strumentale italiana (probabilmente attribuita ad altri) e l’arretratezza con cui si sviluppò l’editoria musicale in Austria e, a Vienna, in particolare. Mentre in Francia, ma anche in Italia, gli editori di musica erano già attivi verso la fine degli anni ’60 del secolo (nel 1772 Marescalchi e Canobbio incominciano la loro attività editoriale a Venezia e, fino al fallimento nel 1775, offriranno 65 edizioni di musica strumentale e vocale dei maestri italiani e stranieri), l’editoria musicale austriaca conoscerà un forte sviluppo solo a partire dalla seconda metà degli anni ’80 (nel 1771 l’editore francese Huberty cercò di impiantare una stamperia di musica a Vienna, senza successo vedi P. Bryan, Johann Vanhal, Viennese Symphonist. His Life and His Musical Environment, Pendragon PressStuyvesant NY., p. 20-21.). Tra i motivi di quest’arretratezza potrebbe esserci proprio il fenomeno delle multiple intestazioni segnalato da Breitkopf che, nel caso di edizioni a stampa, sarebbe stato impossibile. Un’edizione definiva, infatti, una paternità pubblica e, nello stesso tempo, tutelava gli editori nel caso di appropriazione indebita di lavori altrui. Con la musica manoscritta queste tutele erano minori e, difatti, non si ha traccia di alcun contezioso tra musicisti cointestatari delle stesse composizioni. È molto probabile che la ragione della citata attribuzione a W. A. Mozart, della copia della sinfonia K. 297, oggi a Regensburg, sia da collegarsi all’avvenuta pubblicazione, a nome del musicista salisburghese, a Parigi, nel 1780. Quell’edizione sancì una paternità e costrinse gli archivisti di Regensburg a intervenire sulla fonte manoscritta. 

Se quindi da un lato vi sono dei musicisti, quasi esclusivamente austriaci, la cui produzione strumentale, ma anche sacra, risulta artificialmente sovradimensionata, dall’altro vi sono gli italiani, tra cui G. Paisiello, B. Galuppi, G. Gazzaniga, F. Bertoni, D. Cimarosa e A. Luchesi, quasi totalmente spogliati della musica strumentale che certamente scrissero. Il fenomeno diventa paradossale se si confrontano i citati maestri italiani, sicuramente professionisti, con i funzionari di corte e dilettanti Carlo di Ordonez e Frantisek Adam Miça, riconosciuti autori di un corpus di lavori strumentali di tutto rispetto. Parlare oggi di Luchesi significa occuparsi dei problemi descritti e di un musicista che, secondo le poche testimonianze rimaste, era un grande sinfonista, apprezzato da C. Burney, da C. G. Neefe, dai principi che lo ebbero come Kapellmeister, da P. Gradenigo e descritto da Adolf Hasse e dal conte Algarotti, ancora nel 1768, come un giovane musicista di cui si inizia a parlare. Se Luchesi fosse stato un compositore superato nello stile avrebbe comprensibilmente lasciato un corpus di lavori di mediocre qualità negli archivi della cappella di Bonn, per la quale fu sempre contrattualmente obbligato a comporre. In alternativa avrebbe acquistato o pasticciato musiche altrui per dimostrare almeno una parvenza di credibilità musicale o avrebbe utilizzato proprio il sistema delle multiple paternità per procurarsi composizioni altrui e intestarsele. Sicuramente benestante, se non ricco, avrebbe acquistato dei lavori con diritto di intestazione e oggi avremmo una collezione di manoscritti, probabilmente autografi. Nei superstiti cataloghi collegabili alla cappella, che diresse per 20 anni, non figura, invece, alcuna sinfonia, quartetto, concerto, cassazione, divertimento, trio, sonata a suo nome. Benché lo stampatore di Bonn, Ferdinand Rommerskirchen, abbia addirittura stampato tre sinfonie (composte nei primi anni sessanta), un trio, un concerto per clavicembalo e delle sonate per cembalo e violino Op. 1 (1772-73), questa musica non fece mai parte della collezione della cappella o dei principi di Bonn. Il discorso è estendibile anche alle sinfonie avanti l’opera (presenti a Stoccolma e Lisbona) e alle sei sinfonie portate in due esemplari a Stoccarda da J. G. Naumann (sib magg. e mibmagg.) e copiate anche per le raccolte dei conti Clam Gallas (castello di Frydlant), dei conti Waldstein (castello di Doksy), e dei principi Turn un Taxis (castello di Regensburg). Negli inventari e nei cataloghi che descrivono le musiche della cappella di Bonn, non è mai citato il nome di Andrea Luchesi tra gli autori di musica strumentale. Anche i quartetti composti da Luchesi e, segnalati nella comunicazione al Cramer’s Magazine di Lipsia, nel 1783 da C. G. Neefe, non trovano riscontro in alcun catalogo, né in alcun manoscritto. Di tutta questa musica e di moltissima altra, certamente composta dal musicista veneziano nei trent’anni di vita in Germania, non v’è traccia. È sicuramente un mistero che sembra plausibilmente connesso con la sovradimensionata produzione di alcuni musicisti austriaci del periodo.

Quartbuch II e la scomparsa della musica strumentale italiana.

La scomparsa della grande tradizione strumentale italiana pare aver lasciato delle tracce evidenziate dal musicologo danese Jens Peter Larsen (1902-1988), in un articolo dedicato al catalogo conosciuto come Quartbuch II, apparso su Acta Musicologicadel 1977 (vol.49). Una copia di detto inventario, comprendente 300 sinfonie e 450 quartetti, databile 1774-1775, fu rinvenuta negli archivi di Esterháza ma, come J. P. Larsen precisò, Quarbuch II non descrisse mai la raccolta della cappella degli Esterházy. Confrontando le informazioni contenute nel sopracitato catalogo con gli inventari delle collezioni di Egk (1759), e Esterháza (1761), J. P. Larsen notò come, mentre le raccolte della fine degli anni ’50 inizi del ’60 erano formate dal 75% di musiche di autori stranieri, per la maggior parte italiani, e solo il 25% era riferibile a compositori austro-tedeschi, nel 1774-75 la situazione era totalmente capovolta, con una netta predominanza di composizioni di autori austro-tedeschi (oltre il 75%). La restante parte era appannaggio di musicisti stranieri ma, soprattutto, francesi; delle 300 sinfonie elencate in Quarbuch II, solamente una era intestata a Piacini (Piccinni); dei 450 quartetti, 30 erano intestati a Boccherini e Paradisi, mentre 8 ad un non identificato Buzeli-Bucelli.

Quartbuch II sembra raccontare come, nel breve arco di 15 anni, si sia determinata una trasformazione culturale, ampliata negli anni successivi, che portò nei territori di lingua tedesca al ruolo marginale, se non alla fine, della musica strumentale italiana. Nonostante la presenza nelle corti europee d’illustri musicisti italiani, negli archivi austriaci non entrarono che composizioni di autori dell’impero austroungarico. È una realtà che porta a supporre l’esistenza di un progetto teso a utilizzare la musica a fini politici e nazionalistici. Questo progetto si sviluppò prima di Mozart e sicuramente prima di Beethoven, ma culminò con la creazione della triade J. Haydn, W. A. Mozart e L. van Beethoven tanto cara alla musica tedesca. Chi pagò maggior tributo a tale disegno sembra essere stato il Kapellmeister di Bonn Andrea Luchesi, completamente espunto dai manuali di storia della musica. L’unico modo per i maestri italiani di preservare la paternità della loro musica strumentale, fu quello di emigrare in Francia, Russia, Spagna, Inghilterra o Irlanda, Paesi in cui minore era l’ingerenza austriaca. M. Clementi, G. B. Viotti , G. Cambini , G. Brunetti e L. Boccherini , T. Giordani , sono infatti ricordati come prolifici autori di musica strumentale italiana. La grande tradizione strumentale italiana non continuò solo fuori dall’Italia ma sicuramente nella stesa penisola; l’assenza di un corpus di lavori strumentali oggi evidente nelle produzioni di autori quali G. Paisiello, B.  Galuppi, F. Bertoni, G. Gazzaniga, A. Luchesi, e della quasi totalità dei musicisti italiani del periodo, non è sicuramente da ascriversi ad un presunto disinteresse per la musica strumentale né a una supposta inferiorità della scuola Italiana nei confronti di quella Viennese. Altre sono le risposte che ruotano attorno alla vera comprensione del mercato musicale, fortemente internazionale, che caratterizzò tutto il settecento. 

Quanto a Luchesi e alla perdita della sua musica strumentale si deve assumere come anche la sua produzione sacra, soprattutto bonnense, sia per lo più dispersa. Presso la biblioteca Estense Universitaria di Modena esiste, però, una copia della Missain Angustjis (Mus. D.165), altresì conosciuta come Nelson Messe (1798), le cui parti separate sembrano integralmente corrette proprio nella grafia di Luchesi. Qualora detta identificazione fosse confermata si dovrebbe arguire che il manoscritto, giunto a Luchesi a Bonn attorno al 1798, durante l’occupazione francese, sia stato corretto dal musicista e, successivamente, inviato al principe Massimiliano Francesco d’Asburgo, in esilio forzato dal 1794. Infatti, allorquando le truppe napoleoniche invasero il principato, l’arcivescovo Massimiliano Francesco d’Asburgo e la corte fuggirono portandosi appresso l’archivio della cappella. Luchesi rimase a Bonn con la promessa di un ritorno veloce e l’incarico di preparare un progetto per una conservatorio di musica. Il manoscritto della Missa in Angustjis sembra far luce sull’origine luchesiana della messa. Luchesi, cui fu inviato il manoscritto della messa a Bonn l’avrebbe successivamente spedito al principe perché fosse unito a quello che è lecito ritenere il suo archivio personale. Sembra logico pensare, infatti, che il pericolo dell’invasione abbia suggerito al Kapellmeister italiano di affidare il proprio archivio al principe in fuga e la copia della messa intestata ad Haydn, ma anche quelle di Pauken Messe (1796) e Schöpfung Messe (1801), oggi a Modena, siano copie personali di Luchesi. Il fondo modenese, come comunemente accettato, ha una provenienza elettorale ma sembra possedere una sua autonomia rispetto a quello della cappella di Bonn. Lo stretto legame che il manoscritto della Missa in Angustjis sembra avere con Luchesi, che pare confermato da quelli di alcune sinfonie tra cui Hob. I: 13 e i quartetti Hob. III.19-30 e 32, fanno nascere forte il sospetto che il fondo modenese, comprendente anche quello che  A. Chiarelli chiama Fondo Luchesi (A. Chiarelli, Proposte per una ricognizione delle musiche di ambiente europeo tra il XVIII e il XIX secolo presso la Biblioteca Estense di Modena – Il fondo Lucchesi, in Musica, Teatro, Nazione dall’Emilia all’Europa nel Settecento, Modena, Mucchi, 1981, p. 73-88), possa essere il fondo personale di Andrea Luchesi, quel grandissimo musicista italiano ricordato a stento anche solo come l’ultimo Kappellmeister della corte di Bonn.